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VIAREGGIO a écrit:
Salam
Il racconto è in tre parte, è molto divertente.! La zerba aala slah
salam bent lebladCitation
bent lablade a écrit:Citation
VIAREGGIO a écrit:
Salam
Il racconto è in tre parte, è molto divertente.! La zerba aala slah
Salam
Tu peut me dire stp menine jebdti hade l'histoire?
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VIAREGGIO a écrit:salam bent lebladCitation
bent lablade a écrit:Citation
VIAREGGIO a écrit:
Salam
Il racconto è in tre parte, è molto divertente.! La zerba aala slah
Salam
Tu peut me dire stp menine jebdti hade l'histoire?
had l'histoir ana li ktebtha,rah fiha partie1,2 e 3
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VIAREGGIO a écrit:
MOSTAFA IL CLANDISTINO -3- Racconto di KARIM/ VIAREGGIO
Nel commissariato avevamo paura e pensavamo che saremmo finiti in carcere.
Il vecchio Abbes cercava di farsi intendere col suo italiano stentato; io e Ali invece piangevamo. Hanno preso le nostre impronte digitali e le nostre fotografie; come ricordo. Poi ci hanno portati tutti nell’ufficio del commissario. Questi era una brava persona, che parlava francese, appena un po’. Ci ha offerto dell’acqua e ci ha rassicurati. Era necessario che passassimo la notte nel commissariato, il giorno dopo la nostra situazione sarebbe stata definita. Ci hanno fatti sistemare in una stanza con delle panche di legno e hanno chiuso, alle nostre spalle, l’inferriata.
Aveva attratto la mia attenzione un poliziotto di pelle scura, magri il viso e le mani, ci aveva sorriso e ci aveva offerto della cioccolata. Pure lui, gesticolando, ci aveva rassicurati. Avevo la sensazione che una qualche affinità ci unisse.
Nelle prime ore del mattino, quando ancora stavamo dormendo un sonno profondo, la porta si è aperta all’improvviso, ci hanno rilasciati.
All’uscita del commissariato Abbes mi guardava titubante; infine si è deciso e mi ha detto:
- Bada bene figliolo, da ora in poi le nostre strade si separano.
Io ho cercato di rimanere impassibile ma i miei occhi si sono riempiti di lacrime mentre osservavo Abbes che se ne andava assieme a suo figlio. La mia attenzione era rapita dal rumore che faceva la gamba di legno di Abbes sull’asfalto della strada.
Ali si voltò per salutarmi con un’espressione spaurita. Mi fissava come se volesse dirmi:
“perdonami caro amico! Le nostre strade si riuniranno un giorno”.
Benché l’angoscia mi prendesse, ho detto loro:
- “arrivederci, vi auguro buona fortuna”.
Mi sono tornati alla memoria molti fatti del passato: il villaggio, il luogo di ritrovo dei giovani presso al muro del cimitero, il piatto di cus-cus preparato dalle mani premurose di mia madre, Abbes che parla della seconda guerra mondiale, gli emigrati che ritornano su automobili di lusso e che ritornano dentro le casse da morto.
Mentre mi risvegliavo da quei ricordi mi sono accorto che un’anziana signora mi guardava con compassione. Quella ha aperto la sua borsetta e mi ha dato qualche spicciolo, dicendo:
- “tieni povero marocchino”.
Con timidezza ho rifiutato quell’elemosina e ho proseguito per la mia strada, benché non sapessi dove mi avrebbe portato. Ho girovagato per diverse strade finché, sentendomi affaticato, mi sono fermato in un giardino pubblico. Sono seduto su una panchina e mi sono addormentato.
Nel sonno tutti gli incubi del mondo hanno affollato la mia testa. Vedevo sette ragazze bionde che mi seguivano ovunque andassi. Una di loro si è appartata con me, ha cominciato a strapparmi i vestiti di dosso, e mi ha squarciato il petto, e mi ha strappato il cuore.
A quel punto mi sono svegliato e ho visto un cane che pisciava sui miei piedi, mentre mi leccava il viso.
“ vattene, cane!” ho detto
Il cane ha abbaiato e anche il suo padrone ha abbaiato, soddisfatto, dalle sue parole ho capito che non potevo litigare col suo cane.
“E un mondo davvero strano quello dove si preferiscono i cani agli uomini. Forse accade perché quest’uomo straniero, dalla pelle scura, non è desiderato in questo paese” mi sono detto.
Ho lasciato il giardino e sono partito imprecando contro il mio destino.
Proprio sul cancello d’ingresso del giardino mi hanno fermato i carabinieri. Mi hanno portato in caserma e mi hanno interrogato di nuovo. Mi hanno messo in cella.
L’indomani, ammanettato come se avessi commesso un reato, sono stato condotto al tribunale. Lì mi hanno interrogato il giudice e il pubblico ministero mentre l’avvocato che mi era stato assegnato d’ufficio rimaneva in silenzio.
“Ho il diritto di difendermi” ho detto loro col mio incerto francese. “ sono venuto in pace in questo paese, per sognare come sogna chiunque, sono venuto per costruire il vostro paese e guadagnare il mio pane. Ho il diritto di esistere e di vivere? “.
Hanno fabbricato la loro accusa:
“ E stato trovato a dormire in un luogo pubblico ed ha aggredito un cane di nazionalità italiana “.
Infine il giudice ha emesso la sentenza. Mi hanno messo le manette ai polsi e mi hanno portato all’aeroporto della capitale. Siamo arrivati in ritardo, quando l’aereo militare stava preparandosi al decollo. Mi hanno buttato dentro. C’era buio. Vedevo soltanto scheletri di persone sdraiate sui sedili di ferro. Sono inciampato nei piedi degli altri passeggeri, ma una voce che ho riconosciuto mi ha detto:
- “ Moustafa, prendi posto tra di noi. Il nostro destino è triste”.
La voce era quella di Abbes, e accanto a lui c’era pure suo figlio Ali.
È cosi che sono stato espulso d’all’Italia assieme ad altri clandestini come me.
Racconto di KARIM/ VIAREGGIO